Cavalco lentamente,
lasciandomi trasportare da ricordi e sensi di colpa.
Io, che più volte ho
spronato Aragorn a credere nelle sue
capacità, a credere in un futuro, proprio io me ne sto andando da quel
futuro.
Cavalco insieme agli
ultimi elfi, verso l’ultima nave pronta a salpare dai Porti Grigi.
Dovrei essere felice,
pensando che rivedrò mia madre…dopo decenni,
secoli. Dovrei convincermi di aver fatto già tutto il possibile.
Dovrei.
“ Non ho più il tuo
amore, figlia mia? ”
Se lo facessi, renderei
felici molte persone: so che mio padre, il Signore di
GranBurrone, non vuole la mia infelicità. Ma
allora perché non riesco ad evitare di pensare con rabbia a quel
dialogo? Perché lui non capisce quanto conti
Aragorn per me?
“ Il punto non è che lui
non lo capisca, Dama Arwen ”, mi ha detto un
piccolo, grande amico, questa notte, “ il fatto è che
Elrond è un padre. Io non sarei meno
addolorato, al suo posto. ”
Bilbo…Quanta
energia, in quelle membra che stanno invecchiando così velocemente,
lontane dal potere dell’Unico Anello. Quanta saggezza, in quella
semplicità. Rivedo il suo volto rugoso, e mi accorgo che le stesse
parole avrebbe potuto dirmele
Galadriel, se fosse stata qui a
Imladris.
Ma lei sta combattendo
una guerra, a Lothlorien…e forse è ciò che
vorrei fare anche io. Forse mi sentirei viva, non un soprammobile adatto
solo alle antiche biblioteche della mia famiglia.
I cavalli sono docili,
sotto la guida mia e degli altri elfi.
Ho lasciato
Asfaloth al suo vero “proprietario”,
anche se Glorfindel gli avrebbe
chiesto di portarmi senza batter ciglio. Ma non volevo partire separando
altre due anime che si vogliono bene, fossero anche legate da
un’amicizia appena nata. Così non è tra Glorfindel
ed Asfaloth…per quanto quel bellissimo
destriero mi voglia bene, non potrò mai
sostituirmi a Glorfindel, nel suo cuore.
Forse il tempo si arresterà davvero come ho immaginato, una volta salita
sull’ultima nave, e l’immortalità mi concederà di creare con
Phanya* un legame altrettanto forte.
E’ una giornata
bellissima, i raggi del sole ci scortano nell’attraversata del ponte.
Ho cavalcato centinaia,
migliaia di volte su queste pietre…il più delle volte l’ho fatto
rientrando da Lorien, sperando di trovare il
Ramingo nelle sale di Imladris. Ora sto
abbandonando tutto questo per sempre, e ho paura di guardarmi dentro, di
stabilire il momento in cui ho preso questa decisione. Ti sei chiesta il
perché di questa tua paura?, mi ripeto. E’ la
risposta, che mi terrorizza: è il dover ammettere che tremila anni di
vita non mi hanno portato il coraggio di guardarmi dentro.
Vorrei che i miei
fratelli fossero qui con me, vorrei poter discutere con loro…Ma a cosa
porterebbe, se non a farmi sentire ancora peggio?
Siamo circa a un quarto
del viaggio, quando avverto i primi segnali, inconfondibili.
Il mio cuore manca
un battito…quel lieve tintinnare di campanelli non mi lascia dubbi.
E’ accaduto troppe volte
a mio padre, a me e ai miei fratelli, perché possa ignorarlo. Devo
mettermi in ascolto e lo faccio, anche se con crescente agitazione. Per
me le visioni sono vortici su altri mondi, difficilmente se ne vanno
senza portare con loro qualcosa di me, qualcosa di molto prezioso.
Faccio fermare
Phanya, indifferente agli sguardi curiosi di
chi mi sta accanto. Le mie mani tremano, le mie orecchie sono tese.
E’ allora che lo vedo.
I maestosi tronchi delle
betulle si adornano di riflessi perlacei, poi appaiono sempre più
opachi, diventano simili a pietre grigie…poi bianche, infine sempre più
immacolate.
Sono le arcate di un
palazzo, un luogo che non ho mai visitato. Non ancora, mi
correggo…Comincio a sentirle dentro di me, non mi sono
del tutto estranee.
I campanelli tintinnano
più forte nelle mie orecchie, mi sembra che tutto il mondo debba
essersene accorto…ma so che non è così. I
passi leggeri e la risata del bimbo che corre verso quei Giardini si
innalzano soltanto nelle mie orecchie.
Le gambe mi diventano
molli, tutto si annebbia ai miei occhi.
Ed io vedo solo lui,
l’uomo che si volta e accoglie tra le braccia la corsa di quel bimbo.
Sul suo viso, una
felicità che mi scioglie il cuore. Il bimbo si abbandona all’affetto di
quell’uomo, ride come un
matto quando la barba gli solletica il collo e le guance.
Li ho riconosciuti
ancora prima di vedere al collo del bimbo la gemma
elfica che io ho donato all’uomo. Li ho riconosciuti ancora prima
di vederli rivolgere lo sguardo verso di me.
Gli occhi grigio-verdi
di Aragorn mi sorridono, senza giudicarmi
incontrano il mio sguardo…cercano il perché.
Nostro figlio, invece, è
perplesso…meglio, imbronciato. Dentro di me, do voce a quel rimprovero.
Come potrei specchiarmi, accettare la vista del mio stesso sguardo,
sapendo di aver ignorato quell’implorazione
di mio…di Nostro figlio?
Qui a
Imladris Aragorn
è conosciuto con un altro nome, Estel.
Significa: Speranza. Quella speranza è il futuro, è la vita di nostro
figlio, alla quale stavo per voltare le spalle.
Sprono
Phanya, chiedendole di tornare indietro. Non
mi occorre altro, per rendermi conto dell’errore che stavo per
commettere.
“ Dama
Arwen, la nave…ci aspetta! ”
Non sento il bisogno di
spiegare a nessuno ciò che sto facendo.
Galadriel
e Celeborn mi sosterrebbero, mia madre
capirebbe. Papà capirà.
*
Phanya in elfico
significa nuvola.